IL GIUDICE CONCILIATORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. La decisione della presente causa deve essere preceduta dalla soluzione di una questione di leggittimita' costituzionale. La legge assicura, e non potrebbe fare diversamente, l'indipendenza di tutti i giudici ed in particolare - in base all'art. 108, secondo comma, della Costituzione - richiama espressamente tale indipendenza per gli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia. Non puo' sussistere tale indipendenza voluta dalla Carta costituzionale se al giudicante, anche se viene ad essere chiamato impropriamente "estraneo" mentre in effetti e' un diretto protagonista della giustizia, non e' dato un opportuno supporto economico che gli consenta di svolgere la sua attivita' con la piena scienza e coscienza; in attuazione di tale dettame, il legislatore ordinario ha riconosciuto con l'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, ai magistrati ordinari, inclusi i vice pretori onorari, in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attivita', una speciale "indennita' di rischio o di funzione". Successivamente analoga indennita' e' stata riconosciuta ai giudici popolari (legge 25 ottobre 1982, n. 795), anchessi "estranei", che partecipano all'amministrazione della giustizia. Di poi l'indennita' ex lege n. 27/1989 e' stata, sic et simpliciter estesa ai magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei tribunali amministrativi regionali, della giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato (artt. 1 e 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425). Recentemente analoga indennita', denominata questa volta "indennita' giudiziaria" e' stata concessa anche al personale amministrativo della magistratura ordinaria e di tutte le magistrature speciali. Gli unici magistrati ai quali non e' stata estesa tale indennita' sono i conciliatori. Sul punto si devono fare alcune considerazioni. Vi e' gia' una decisione della Corte costituzionale (5 aprile 1971, n. 70) in cui e' stata presa in esame la particolare posizione dei conciliatori ed in tale occasione e' stato ritenuto che come funzionari onorari essi diventano soggetti di un rapporto di mero servizio il quale differisce da quello del pubblico impiego per il fatto che l'esercizio di funzioni ad esso connesso non ha natura professionale e non impegna in misura prevalente l'attivita' dei soggetti che vi sono ammessi, i quali restano liberi di svolgere altra attivita' continuativa retribuita. Ma la stessa situazione soggettiva l'hanno i giudici popolari. La detta sentenza concludeva poi che, ai sensi dell'art. 3 della Carta costituzionale, non osta a che l'impegno e gli oneri peculiari di talune cariche onorarie siano diversamente considerati dal legislatore, rimanendo giustificata la negazione ad alcune e per contro l'attribuzione ad altre di assegni o di altri emolumenti: non nella fattispecie perche', come si dira' in seguito, attivita' riconosciute meritevoli di "indennita'" sono state trasferite da un magistrato all'altro senza trasferire l'indennita' relativa. Nella fattispecie la particolare indennita' pero' non ha una funzione prettamente retributiva, ma ha una funzione ben specifica: essa ha per riferimento il riconoscere le situazioni personali contingenti in cui si sono trovati e si trovano i magistrati tanto che tale indennita' e' stata appunto chiamata "di rischio o di funzione". Concetti questi che vanno ben oltre il concetto di remunerazione. Rischio o funzione che sono sopravvenuti anche nell'attivita' giurisdizionale dei conciliatori per fatti contingenti o per successivi provvedimenti legislativi indipendenti dalla loro volonta'. Prima interferenza nell'attivita' svolta dai conciliatori e' stata l'attribuzione ad essi della competenza in materia cosi' detta di equo canone (legge n. 392/1978) e piu' precisamente sono stati chiamati a valutare i motivi e le necessita' per far cessare in determinati contratti di locazione i favori vincolistici. Vero che vennero affidate al conciliatore le cause in cui il canone di locazione era di minore entita': questo pero' ha comportato che proprio al conciliatore venissero assegnate quelle cause che avevano una piu' particolare incidenza sociale: minore era il canone, minore era il reddito della persona che fruiva di quell'immobile e minore era il reddito di colui che, con sacrifici, aveva acquistato un piccolo immobile: quindi si manifestavano veri e propri contrasti tra persone che difendevano in modo particolare il loro diritto all'abitazione od il loro diritto di vedere riconosciuti i risparmi accumulati ed investiti. In quella realta' lo scontro tra questi soggetti ha determinato molto spesso per i conciliatori manifestazioni particolari: ne sono testimonianza il ripetuto risalto e richiamo del loro operato sulla stampa quotidiana. Insorsero molestie e larvate minacce telefoniche anonime rivolte ai conciliatori, tanto che molti dovettero richiedere urgentemente il cambio dell'utenza e la cancellazione del proprio nome dall'elenco telefonico: si era concretizzato proprio in un elemento di largo contrasto sociale l'operazione giurisdizionale del conciliatore. Recentemente poi e' stato spostato ampiamente l'aumento della competenza per valore, portandola da L. 50.000 a L. 1.000.000, ovverosia con un aumento di 20 volte: con cio' si sono trasferite al conciliatore nel 1983 quelle vertenze che il pretore od il tribunale trattavano e per le quali a tali magistrati era riconosciuta "l'indennita' di rischio o di funzione": a tali magistrati e' rimasta l'indennita' ma il rischio, la funzione e le vertenze sono state trasferite completamente al conciliatore con il loro intrinseco valore e peso sociale. I conciliatori, quindi, e' pacifico sono "estranei" che ormai svolgono un'effettiva estesa funzione giurisdizionale, funzione che viene ad interferire pesantemente con la loro personale attivita' lavorativa ed interferisce soprattutto per motivi di preclusione, in quanto impedisce determinate attivita', specialmente quando il conciliatore veste anche la funzione di professionista, con incidenze anche sul reddito professionale. E' lo stesso motivo per cui l'indennita' e' stata riconosciuta ai giudici popolari. E' un motivo di piu' di quello per cui l'indennita' e' stata riconosciuta agli avvocati dello Stato. Infine un'ultima considerazione: non e' l'entita' economica quella che puo' far pesare e far valutare l'essenza od il fondamento o l'importanza di un giudizio: esso deve essere dato con la stessa obiettivita', fondatezza nella Legge e cognizione della norma che richiedono tutte le questioni poste in sede giudiziale. Quindi quell'indennita' di rischio e di funzione che aveva una peculiarita' al momento della sua istituzione, non puo' non essere estesa, a meno che non si vogliano violare precisi dettati costituzionali, anche al Conciliatore che di quella peculiarita' ne e' partecipe. Per le argomentazioni esposte, l'art. 3 della legge 19 luglio 1981, n. 27, artt. 1 e 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425, e art. 1 della legge 25 ottobre 1982, n. 795, nella parte in cui non comprendono i conciliatori sono in contrasto con l'art. 108, secondo comma, con l'art. 3, primo comma e con l'art. 97, primo comma, della Carta costituzionale. La detta questione e' non manifestamente infondata ed anche rilevante ai fini della decisione della causa in quanto incide sull'indipendenza del giudicante e quindi puo' influire sulla decisione alla quale il giudice e' chiamato a decidere.